martedì 6 settembre 2011

Guscio poco amichevole.


Capita spesso di rifugiarmi in me stessa; solo dopo capisco che era il posto peggiore dove mi potessi rinchiudere.

venerdì 20 maggio 2011

Mai tentare di riempire i vuoti, portano solo un vuoto peggiore.


Invischiati nella melma.
Stanchi di decidere se alzarsi o sprofondare.
Ci si dà agli eccessi, senza capire bene il danno che si sta creando.
Diventi un lesionista e un autolesionista; quante volte ormai è accaduto.
Sempre la stessa storia del martire e del carnefice, che non si sa mai quando inizia uno e quando finisce l’altro.

Più sprofondi più la batosta del risveglio è grande, e più grande è la batosta più non riesci a rialzarti.
Cerchi un rifugio nel nichilismo e non ce lo trovi, cerchi rifugio nell’introspezione ed era meglio se non avessi mai guardato.
Hai la nausea di tutto, e ti accorgi che la cosa più nauseante sei proprio te.
E di nuovo sprofondi.



Un marshmallow masticato e sputato non è più un marshmallow, idiota.


Da dove nasce la convinzione che una volta stracciata a pezzi una persona questa possa tornare esattamente linda e pulita come prima?
E non fraintendetemi, non sto parlando del rapporto tra due persone che si deteriora se una di loro subisce un torto dall’altra: per quanto si possa essere dementi, chiunque sa che una volta in conflitto le due parti che si scontreranno non torneranno mai veramente alleate.
Quello di cui voglio parlare è differente, eppure molto simile.
L’aberrante convinzione generale è che una volta che hai visto il peggio puoi ancora far finta che tutto questo non esista.
Che tranquillamente tutto ciò che ti circonda riprenda le forme di un tempo, le forme che avevano prima di diventare marce, orribili e deformi. Camminando per strada le persone e gli oggetti diventano corpi estranei a te stesso. Ti chiedi se in fondo anche te hai una forma e una personalità e l’idea di non avercela non è poi tanto male. Ma quando ti accorgi che esisti e che devi esistere cominci a odiare qualsiasi cosa ti faccia notare quest’incombenza: gli specchi, le ombre, le fotografie.
Ci si chiede perché alcuni diventano cinici e altri no; la risposta è che i cinici sono dei sensibili che si sono fatti penetrare dai sentimenti ruvidi e privi di ogni morbidezza che ci circondano.
E la scelta di questo peso non è mai loro.

C’è chi fa buon viso a cattivo gioco, ma io considero questa categoria formata solo da falsi perbenisti che non fanno altro che occultare ciò che in realtà hanno dentro. Troppo tempo ho permesso di corrodermi , ora non posso fare a meno di vomitare parole e sensazioni.

È incredibilmente triste da ammettere, ma rifletto ciò che ho attorno. Datemi rabbia e io risponderò rabbia, datemi amore e io risponderò amore.
È per questo che evito i contatti. Riconosco la mia inadeguatezza sociale e la mia fragilità psicologica.
E la nego a chiunque non sia capace di gestirla.

mercoledì 30 marzo 2011

Le persone si innamorano perché hanno bisogno d’insalata.


- Dottore, mio zio è pazzo. Crede di essere una lattuga!
- Lo porti qua, che vediamo di curarlo.
- Dica è scemo? E poi io come la faccio l’insalata?

Ah, l’amore.
I film non parlano d’altro, i romanzi ne sono diventati intolleranti e sembra che tutto ruoti attorno ad esso.
Se esiste però un momento in cui il mondo per un momento si ferma e finalmente tace, è quando viene posta questa domanda: ma alla fine, che cos’è l’amore?

Nessuno risponde.
Silenzio in sala.
Un timido personaggio nascosto da un cristone seduto davanti a lui alza un’inferma mano e dice con tono incerto: - Un sentimento?
Brusio in sala.
Un coraggioso e avvenente damerino impagliato si alza e declama a voce piena: - Come si può declassare a ‘sentimento’ qualcosa come l’amore, che smuove i popoli e corrompe i potenti?
-E allora come classificarlo scusa? - , dice un anonima voce da un’altra parte della sala.
Di nuovo silenzio.

Immaginatevi questa scena e ripetetela all’infinito: non avrà mai una conclusione decente.
Ci sarà il fisico che dirà che ci innamoriamo perché gli atomi negativi tipicamente maschili hanno bisogno di atomi positivi tipicamente femminili e quindi ci attraiamo e mi fermo qui perché la fisica è un mio handicap; gli animalisti diranno che sono molto più evoluti gli animali che non hanno bisogno di certe futilità e che quindi dovremmo avere più rispetto per le altre specie viventi, buttare taniche di vernice addosso alle pellicce di gente ricca e superficiale ed andare in giro vestiti da mucche che vengono fucilate una per una per sensibilizzare all’argomento i bambini (che poi ne usciranno solo irrimediabilmente traumatizzati); i poeti diranno che l’amor è come un bocciuol di rosa che candidamente si posa sul suolo fangoso di un laghetto di bosco, e lentamente si muta in farfalla per spiccare un volo che racchiude in se l’allegoria della vita stessa.
Insomma chi ne ha più ne metta, non ci sarà mai nessun personaggio che azzittirà gli altri e porrà fine a questa assurda recita.

(Pausa ad effetto per rendermi più credibile)

Indefinibile.
A volte futile.
A volte necessario.
Insostanziale.
Preferibilmente evitabile.
Detestabile.

E allora spiegatemi perché ci si innamora ancora.
Potremmo decidere per accordo comune di smetterla.
Un giorno ci si alza e al tg della mattina invece di sentire di Gheddafi che bombarda la gente e Berlusca che sta lì a leccargli il culo la signorina presentatrice dal tono saccente dice: - E’ stato firmato ieri sera l’accordo chiamato ‘Soppressione Amorosa’ , d’ora in poi il mondo è libero dal circolo vizioso più opprimente mai inventato dopo lo psicologo.

Non accadrà mai.

Perché non accadrà mai?
Ma perché abbiamo bisogno di insalata.
Abbiamo bisogno di quell’inconcludenza, di quella paura, di quella incomprensione che a volte porta alla comprensione e a volte alla distruzione. 

-Non ha senso quello che dici.

Eppure si continua ad aver bisogno di insalata.

O forse quello di cui abbiamo bisogno è solo di clorofilla.
Ma questo è un altro post.

domenica 6 marzo 2011

Schizofrenia.


-Uh, è mattina! Oddio cosa si fa di solito di mattina? Bah non importa, sono in ritardo per la metro! (Si dimentica che la mattina solitamente si fa colazione)
- In questa casa non c’è mai un cavolo da mangiare, stanotte ho dormito di merda, non ho studiato nulla, ho rotto l’ombrello e fuori piove pure!
- Chissà a cosa pensa la gente quando aspetta la metro? Quello forse è nervoso perché ieri è venuto a sapere che l’estinzione dei dodo è stata causata da degli uomini come lui. In effetti la cosa turba anche me. Chissà perché quello sta sempre a maniche corte anche a dicembre, forse è un esquimese mal adattato? Toh guarda! Un uccellino sulle rotaie! Ah ah ah! Che carino mentre tutti sono qui a borbottare lui se ne vola dove vuole!
- Perché c’è sempre così tanta gente alla metro? Non hanno un cazzo da fare la mattina? Devono per forza fare tutti ritardo e rompere perché c’è così tanta gente di mattina? Cioè anch’io mi sto lamentando, ma io mi lamento di loro che si lamentano e cazzo quando arriva la metro?!
- Ah prof, a proposito dei compiti! Non ho studiato perché ieri mi sono messa a comporre un sonetto metafisico con tema principale un pesce palla che credeva di essere un’aringa!
- La sua materia fa schifo, lei la insegna da schifo e io non ho minimamente intenzione di passare la mia giornata a leggere quel libro scritto da schifo.
- Com’è passata in fretta la giornata leggendo Rat Man! Dovrei farlo più spesso, così poi non sarò stanca nel pomeriggio e posso fare qualcosa di divertente. A proposito, com’è che si chiamava quel tizio che dipingeva le fragole di blu per far finta che fossero fragole aliene e diventare famoso? O forse era solo un mio sogno?...
- Domani faccio sega. Un’altra giornata a far finta di riuscire a sopportare certi stronzi e mi rinchiudo in un barile. Ed è meglio che dentro ci sia del rhum va.
- Oggi mi va di fare quattro passi, tanto l’autobus è in ritardo. Ah, una persona mi sorride! E pensare che magari qualcun altro avrebbe pensato ‘ma che cazzo vuole questo qua?’. Ormai non si sa più ricambiare nemmeno un gesto gentile. Come siamo caduti in basso. Fossero tutti come lui magari il mondo sarebbe un posto migliore.
- Ma che cazzo vuole questo qua? Se devo incontrare certi decerebrati è tutta colpa di questi cazzo di autobus non sono mai in orario! Voglio mangiare, ho fame Giuda ballerino!
- Credo mi metterò a disegnare il tizio delle fragole blu. O erano ananas?
- Non mi va nemmeno di disegnare. Tanto cosa voglio ottenere proiettando su un foglio le mie fantasie? Basta guardare fuori e tutto si distrugge.
- Forse dovrei essere più concreta…
- Forse dovrei essere più gentile e flessibile…
- Una tazza al contrario somiglia alla testa di un’ape!
- Non fanno altro che farmi incazzare.
- Ho dimenticato cosa dovevo fare.
- Qualsiasi cosa dovessi fare sarebbe stata la solita routine, meglio continuare a non ricordarselo.
- Se un cucchiaino riflette il mondo distorto e al contrario da una parte e dal verso giusto dall’altra è possibile che davvero esistano due me; entrambe storte ma ognuna con una prospettiva diversa del mondo. Se così fosse è un cucchiaino davvero molto saggio.
- Non vedo quale sia il problema. Ora solo perché un cucchiaino riflette in due modi diversi non significa che devo cercare di raddrizzarmi. Se lui è ambiguo non sono affari miei.
- Cavolo ho finito la china!
- Cavolo ho finito gli insulti.
- Ah ah, senza accorgermene ho scritto un post!
- Fatevelo piacere, STRONZI.

sabato 5 marzo 2011

Perché la gente crede che io sia falsa.


Salve gente.
Oggi vorrei trattare di un argomento che suscita in me emozioni negative.
Molti miei conoscenti  dicono che io sia una persona falsa, che esagera in tutto per farsi notare, per apparire diversa, per essere in pratica la solita adolescente che rompe i coglioni altrui, sicura del fatto che se lo farà verrà notata e rispettata da tutti.

Voi dovete capire adesso, che sono divisa da due recensioni di me completamente differenti:
Quella sopracitata, che mi dipinge come un’eccentrica ragazzina in cerca della propria identità e del proprio ruolo nel mondo, e invece quella di tutti i medici e strizzacervelli da cui mi sono fatta visitare, che mi rimproverano apertamente di eccessi di timidezza, di nascondermi continuamente reprimendo ogni mio possibile sfogo (a parte quello rabbioso, ovviamente) e di non riuscire ad essere me stessa nemmeno in presenza dei miei genitori.

Ora io mi domando: ma a chi dare retta?
Dire che non me ne fotte di entrambe le opinioni è quanto mai falso, perché non sono una persona talmente orgogliosa da pensare di poter stare al di sopra di ogni giudizio, umano o divino che sia.

Alla fine non ho ancora scelto quale delle due sia l’opinione giusta, ma a una conclusione ci sono arrivata: qualsiasi fosse l’opinione alla quale avrei deciso di dare credito, io non sarei cambiata di una virgola.
È giusto far notare i difetti altrui per migliorare le persone, ma emettere sentenze del genere  a freddo non aiuta nessuno.
Se volete davvero migliorarmi, conoscetemi, interagite con me.
Il mio rispetto va guadagnato, non è una cosa che dono al primo che passa.
Prima dimostratemi di essere persone a cui dare credito, poi, forse, ne riparliamo.

giovedì 3 marzo 2011

L’umanità va a cena.


Organizzatrice della serata, ovviamente, è Camille. È una donna attraente, paffuta, femminilissima, genere quadro di Renoir; la dilatata di Corman; la venerea della classificazione antica; estroversa, socievole, cicliotimica secondo Kretschmer. Perfetta padrona di casa, graziosa, amabile, capace, essa crea intorno a sé un’atmosfera di benevolenza e di gradevole calore; la sua conversazione non è particolarmente interessante, ripetendo  essa per lo più opinioni del marito e del padre o magari del parroco o della radio, con l’aggiunta eventuale di una qualche emozione personale. I suoi giudizi e le sue critiche sono stranamente duri, ingiusti e distruttivi, giacchè il pensiero, la sua funzione inferiore, può giocarle dei brutti tiri.

La casa è messa con gusto e la cucina è eccellente, poiché il marito è esteta e buongustaio e richiede un lusso discreto.

Questo marito, Andrew, è infatti un esperto di quadri antichi e collezionista d’oggetti d’arte  e possiede una splendida biblioteca. I suoi autori sono Huysmans e Oscar Wilde nelle cui opere ritrova sé stesso. Tanto la moglie è chiaccherona, tanto lui è taciturno, e ora è infastidito da questa riunione e non capisce perché mai si debba invitare tutta questa gente priva di interesse che lo costringe ad uscire dalla deliziosa solitudine del suo studio. Tuttavia accetta che la moglie intrattenga vita di società, sapendo, per esperienza, che essa eccelle nell’arte del ricevere e che può fornirgli quel lato estroverso, aperto sul modo esterno, che a lui manca. Costui riceve gli invitati con una diffidenza piuttosto fredda e distaccata e stringe la mano dell’avvocato alla moda (che egli disdegna) dicendogli ‘arrivederci’ invece che ‘buona sera’, atto mancato che la moglie cerca di cancellare raddoppiando la propria cortesia.

L’avvocato in questione, Loreto, è arrivato per primo: è un tipo ben inserito nella vita, che ha fatto studi brillanti e che sta iniziando una promettente carriera politica. Per quanto giovane, ha già acquisito una certa fama di oratore, è chiaro nei propri giudizi, di una logica perfetta, capace di convincere il pubblico con la forza delle argomentazioni, sempre fondate sui fatti. Il pensiero astratto lo interessa meno, giacchè eccelle soprattutto nel senso pratico e nelle qualità organizzative, ed emette giudizi basati essenzialmente su fattori provenienti dall’esterno, ossia su valori trasmessi dalla tradizione, dall’ambiente, dall’educazione. Si orienta sulla base di dati oggettivi.

Un po’ più tardi arriva l’uomo di affari in vista, il grande industriale, accompagnato dalla moglie.

L’industriale, Serafino, è un uomo di buon senso, attivo, sempre indaffarato, pratico, pieno di iniziative; dirige con autorità e intelligenza un vero e proprio esercito di impiegati, e le sue giornate sono stracariche di occupazioni varie, commerciali e sociali. Spesso, tuttavia, manca di previdenza, ragion per cui afferra le cose solo quando sono diventate realtà palpabili. È ben vestito, ma in certo qual modo ordinario, privo di distinzione e delicatezza, rumoroso, parla troppo, beve parecchio ed è un formidabile mangiatore (il tipo dilatato di Corman).
Nessuno capisce questa coppia o piuttosto il legame che la unisce. La moglie, Kira, infatti è silenziosa ed enigmatica, come un’acqua tranquilla e profonda. Ma quello che più sorprende, e che suscita l’interesse della padrona di casa, specialista in relazioni umane, è l’influenza che questa giovane donna, apparentemente insignificante, esercita sul marito, il quale le è sottomesso, la cerca con gli occhi quando si allontana e su tutto chiede il suo parere. Essa incarna per lui l’anima, la vita interiore, rimaste in lui del tutto inconsce, di modo che egli fa su di lei una proiezione della propria anima.

Kira non esterna le proprie emozioni, ma le accumula e le interiorizza, col risultato di creare attorno a sé, grazie a questa massa di libido, un’atmosfera di mistero fortemente attraente. Ha una grande passione per la musica, la più pura espressione di ciò che prova, ed è nell’universo dell’armonia, più che nella stessa esistenza, ch’ella si esteriorizza ed è felice.

Ma ecco arrivare Valeriano, si tratta di un medico, specialista della malattia del sonno, il quale non esercita la professione, dato che il malato non lo interessa minimamente, ma che apporta nel campo della ricerca scientifica – il centro dei suoi interessi – idee personali e una sua propria teoria. La moglie non la si vede mai, giacchè egli non esce con lei, e si bisbiglia che sia ex cuoca, una donna semplice e senza cultura.

Infine, arriva, trafelato,  Adrièn, l’ultimo ospite, un ingegnere aeronautico, il quale, ancora ansimante, si mette subito a parlare della sua ultima invenzione, un nuovo tipo di aereo di rivoluzionaria novità. Ha la mente fervida, ma che, a causa di un senso reale vacillante, non realizza quasi mai i suoi sogni. Parla di un viaggio e di progetti futuri e, quando infine si passa a tavola, ingolla rapidamente le eccellenti portate, senza nemmeno rendersi conto di quello che mangia.

La conversazione si anima: si parla di politica, di teatro, di processi, di cinema.  Serafino e Loreto mantengono viva la discussione.
Valeriano, al contrario, tace, essendo, come molti suoi simili, impacciato e sentendosi a disagio in quell’ambiente mondano; solo verso la fine della cena, riscaldatosi un po’, uscirà dal suo silenzio per mettersi a parlare… della propria teoria sulla malattia del sonno, senza rendersi conto delle reazioni suscitate nei convitati da un simile argomento; è infatti un tipo che commette non poche gaffe, come spesso accade alle persone male adattate al mondo.
Gli uomini lo ascoltano tuttavia con un certo interesse; Lanfranco lo segue, giacchè tutto ciò che concerne il mondo delle idee lo interessa, Serafino pensa all’utilità pratica degli studi sulla malattia del sonno; Andrew, l’esteta, è invece puramente e semplicemente disgustato da un simile argomento che gli disturba la digestione. Ma chi è più da compiangere  sua moglie, la padrona di casa. All’inizio del lungo discorso, essa ha cercato invano si sviare il corso della conversazione, finchè, stanca, ha perso il filo: il pensiero teorico, denudato di ogni sentimento umano, le sfugge ed essa lo sente quasi come un’offesa; il suo volto, poc’anzi raggiante, si offusca e la poveretta si annoia mortalmente. Rinasce a nuova vita solo quando ci si alza da tavola; allora, svelta svelta, porta Kira in camera dei bambini e lì le due donne si ritrovano nel calore dell’amore materno.

Un posto a tavola è rimasto vuoto: era il posto riservato al poeta, Cecile, il quale non è venuto e non ha nemmeno telefonato per scusarsi, avendo semplicemente dimenticato l’invito. Immerso fino a sera nelle sue carte, se ne è distolto solo per recarsi nel ristorantino sotto casa, dove ha mangiato male, essendo a corto di soldi. È fondamentalmente un inibito, allampanato, con una lunga faccia delicata. Siccome vive fuori dal tempo e dallo spazio, perde un’altra mezz’ora a cercare gli occhiali prima di uscire, e così arriva in trattoria troppo tardi. Ma che gliene importa di mangiare male! Via via getta un’occhiata alla Divina Commedia che si è portato dietro. Dopo cena va a fare quattro passi lungo la Senna, sotto il cielo stellato, nell’aria fredda che lo fa rabbrividire (ha dimenticato il cappotto, senza rendersi conto che siamo agli inizi dell’inverno e che la temperatura sta facendosi rigida), e intanto, mentre passeggia, compone un sonetto  metafisico e si sente felice. D’un tratto si ricorda dell’invito a cena, ma ormai è troppo tardi. La dimenticanza è un atto mancato, che esprime benissimo l’apprensione dell’introverso a recarsi in società e la sua estrema timidezza. “Pazienza - pensa  - vuol dire che manderò i miei versi alla padrona di casa e così ella avrà il meglio di me!”
Probabilmente egli realizzerà la sua intenzione, ma Camille sarà in grado di apprezzare un simile dono? Eppure, questo Cecile mal vestito - perché gli introversi spesso si trascurano -, questo povero poeta leggermente ridicolo, co suoi occhi miopi e vaghi, che sfugge il calore umano, i conflitti e le gioie altrui, ha forse composto un poema immortale, che vale tutto ciò che si è lasciato sfuggire.

-L’anima e la scrittura
Rivisitato da Lady Rododendra.

Questo blog non è un blog.

Questo blog non contiene scritti.
Questo blog quasi non contiene immagini.
Questo blog non ha un filo logico continuo.
Questo blog cambia tema ad ogni post.

Questo blog contiene solo pensieri, sogni, dialoghi, prese per il culo e niente di tutto questo; questo blog contiene solo ciò che sono, contiene solo il mio modo di vedere la realtà, contiene solo la mia voglia repressa di comunicare con gli altri.

Non è scritto bene; non ha un fine specifico.

In pratica questo blog non è un blog, come io in realtà non sono una vera aquila.



-Humm humm nel tuo post sul blog, hai dimenticato " io sono io, punto stop." -cit Uno che sa fare delle giuste recensioni.

mercoledì 2 marzo 2011

A volte sono una iena.


Esco di casa incazzata come una belva feroce, o per meglio similitudinare un gorilla al quale hanno appena abbattuto l’ennesima foresta di mangrovie.
Fuori piove a dirotto.
Bestemmie.
Ignorando le folate di vento che trascinano le pecore come leggiadri pollini di pioppo e gli tsunami che scaturiscono dalle pozzanghere, mi incammino in una direzione a casaccio.
Scopro con mio sommo piacere di essermi incamminata proprio nella direzione della discarica.
Et voilà, non poteva assolutamente mancare: un esemplare quasi adulto di essere antropomorfo ancora incompleto cerebralmente (e che probabilmente rimarrà incompleto per sempre) che esordisce con angelico tono:
-Aò! A bona, ‘ndo stai andà?
Al che io rispondo, con tono contenuto:
-Ad una romantica passeggiata ai cassonetti, non noti?
-Stasera ce stà ‘na festa da li amici mia.

(Comincio ad irritarmi).

-Il termine ‘sti cazzi’ ti suggerisce qualcosa?

(Niente, continua).

-Ah ah ah, me piacciono le pischelle come te!
- TACI.
-Oh calmate, stavo solo…
-EVAPORA!
-Vaffanculo, STRONZA!
- Altrettanto, TROIONE!

Lo ammetto, a volte sono proprio una iena.
Non ne vado particolarmente fiera, ma è così.
Take it easy.

mercoledì 2 febbraio 2011

Cosa succede ad invitare un’aquila ad una festa.

L’aquila se ne stava tranquillamente appollaiata sul suo ramo preferito, quello del pino silvestre in cima alla rupe che somiglia ad un gabbiano. Si lascia accarezzare dalla brezza, così fresca e vitale, e osserva le nuvole che si rincorrono nel cielo, divertendosi a scovare le figure di oggetti che le piacciono in quegli immateriali ammassi gassosi. Là nulla esiste e nulla resta, ed Aquila scorda completamente i suoi problemi facendosi dolcemente invadere da pensieri eterei e fantasie improbabili.
Ad un tratto, spunta coniglio.
-Ehi Aquila, oggi è il mio compleanno e di giù diamo una gran festa. Si mangia e ci si diverte, tu vieni vero?
Le chiede con quel sorriso che riesce sempre a sciogliere il dolore nel cuore del rapace.

Ovviamente Aquila è contentissima che Coniglio voglia condividere la sua felicità con lei, e si prepara a raggiungerlo con un sorriso spiaccicato sul volto.
Così, si appresta a scendere dal ramo e calare in picchiata là dov’è il luogo del raduno.
Dall’alto vede tutti!
Ci stanno anche lo stregatto e l’osso. Gli sorride, e scende ancora più in basso.
Tocca il suolo con una zampa.

Appena si stabilizza sul suolo, si sente un po’ a disagio.
Gli artigli, creati per afferrare rami, gli si ricurvano all’indietro e non riesce bene a tenere l’equilibrio.
Sentendosi dannatamente impacciata, prova ad appollaiarsi su un sasso, quello più basso che trova, per non farsi sentire troppo distaccata ma nemmeno troppo partecipe.
Vede intorno a lei volti amichevoli e pensa:
“Qui di sicuro non si può star male, non leggo ostilità in nessun volto. Quindi calmiamoci e cerchiamo di non isolarci troppo”.
Così Aquila cerca di integrarsi nei discorsi degli invitati. Non sono ne noiosi ne immorali, ma non riesce lo stesso a dire niente.
Coniglio scorrazza là intorno, gioendo della presenza di tutti.
Aquila la osserva, e spera che non si giri a guardarla.
Ad Aquila vengono in mente i tempi in cui era solo un pollo, uno stupido pollo che ancora non aveva capito di essere un’aquila, non una gallina, e si sente stranita, persino triste. Ricorda di quando per lei i contatti erano solo un altro modo per farla sentire esclusa. Non capisce come fa a sentirsi triste in un momento così felice. Non capisce nemmeno come diamine è arrivata a certi ragionamenti.
Distoglie lo sguardo dal passato e lo riproietta sul presente.
Già, cosa è cambiato dal passato al presente?
E’ sempre egoista, incapace di gioire della felicità altrui. È peggiorata ogni giorno di più da allora. Scappando sul suo ramo, distaccandosi da tutti ha solo peggiorato se stessa.
Troppa materialità, troppi contatti laggiù.
Eppure fa uno sforzo, lo fa per Coniglio.
Ormai è nervosa.
Comincia a mordicchiare insistentemente Osso che sopporta in modo epico, roba da farci un epopea. Altro che Giobbe.
Ogni tanto inconsciamente se ne vola su un ramo là vicino, guarda in alto per un po’, riprende ad osservare le nuvole, si accorge che quello non è il comportamento adatto e torna a terra.
Adesso la faccenda sta cominciando a farsi grave. Non ha più fame, le gira la testa e ha i crampi allo stomaco.
Ma com’è possibile che riesca a stare così male? Possibile che sia davvero così disadattata?
No. Si rifiuta di crederci.

Finita la festa fa un cortese sorriso a tutti, sperando visceralmente che nessuno si sia accorto di quello che è successo.
Per fortuna Coniglio sorride ancora, ed è un sorriso vero. Meno male che c’è Coniglio.

Tornata a casa Aquila non fa altro che prendere a testate l’albero sperando che in un qualche misterioso modo rinsavisca dalla sua assurda e imbarazzante personalità.
Credeva di essersi accettata, credeva che ormai certe situazioni non si sarebbero mai più ripetute, che ormai fosse a posto.
E ancora una volta pensa a Coniglio. Aquila non riesce a dirglielo, anche se sa che deve. Non può mentirle. Non a lei.
Ma non avrà mai la forza necessaria per dirle ciò che la logora.
Così eccola qua, a scrivere un post che spera Coniglio non legga mai.

Ecco cosa succede ad invitare un’aquila ad una festa.

Fanculo a me, magari un giorno crescerò anch’io.

domenica 30 gennaio 2011

RododenTro


Il primo post che ho scritto ha suscitato parecchi commenti.
Alcuni dicevano che wow sono troppo una ganza, altri che scrivo male, altri ancora si stupivano che da un essere così mediocre come me poteva scaturirne un blog.

Sorvolando queste interessanti opinioni, quello che più di tutti è stato declamato è il seguente:
-Lady, la parola rododendro fa terribilmente schifo.
Com’era possibile?
Ai miei orecchi nulla suonava più eufonico ed inebriante  della parola ‘rododendro’.
È così arrotolata, lunga e difficile da coniugare. Sulla lista dei miei termini preferiti sta alla n° 1, seguito da ‘paraurti’, ‘pterodattilo’ e ‘psichedelico’.
Anche ‘giaguaro’ spacca.

Eppure, nonostante queste miei fondatissimi e inattaccabili gusti, il loro raccapriccio rimaneva.

Sono allora dovuta andare a cercare la causa del mio (a quanto pare) infondato amore altrove.
Dopo un po’ di rimuginamento allietato dalla contemplazione di una ghiandaia che stava appollaiata davanti la mia finestra e cazzo sono tanto belle ma hanno una voce da trita timpano, mi è passata nel teleschermo celebrale questa risposta: RODO DENTRO.

Ecco perché!
Non avevo mai immaginato un risvolto della trama così poetico, che fosse anche un ingegnoso gioco di parole!

È vero, rodo tantissimo dentro.
Mi è difficilissimo esternare le emozioni negative sotto forma di parole, diciamo che ho un tacito compromesso col mio corpo che quando sto male di testa sto male anche fisicamente.
Pensate un po’: per tre anni di seguito non la smettevo di vomitare e i dottori di tutti gli ospedali della zona si arrovellavano per capire quale sconosciuto morbo e malattia degenerativa potessi avere, e io mi sentivo tanto una paziente de Dottor House e la cosa mi divertiva da morire e cavolo se sono bastarda!  
La risposta però era talmente semplice e paradossale che nessuno ci aveva pensato: mi faceva schifo quasi tutto, mi facevano schifo le persone e gli ambienti che ero costretta a frequentare.
Mi facevano letteralmente ‘vomitare’.
Ma nessuno ci aveva pensato perché  nessuno guarda all'interno degli altri.
E non avevano tantomeno fatto i conti con la mia ipersensibilità.
Ecco cosa succede a sottovalutare una Lady dei Rododendri.

E la volete sapere una cosa?
Nonostante avessero infine capito la causa del mio male, non è cambiato proprio nulla di nulla. Sto esattamente come prima.
Chi mai mi ha davvero aiutato?
Ma, parlandoci chiaramente, chi si è mai davvero interessato al fatto che mi ‘ammalo’ troppo spesso (a parte i pochissimi che possa chiamare amici)?
A chi dovrebbe interessare, in effetti.
Eppure quelle che non mi stanno ancora bene sono le persone che spuntano come margherite dicendo:
-Ehi, cèè stai tipo troppo uno sbattimento, vedi di curarti ganza!

A voi non urterebbero un po’ tanto i commenti sulle vostre occhiaie, fatti così a freddo, mentre magari non dormite da una settimana e avete il fottutissimo bisogno di riposare e di sentirvi in un clima a voi amico?
Spero davvero che molti di quelli che conosco appartenenti alla categoria sopracitata leggano questo post.
Chissà, magari prima di urtare a quella maniera la gente si faranno due domandine.

La prima che consiglierei è questa: ‘Perché non tengo per me le mie urtanti considerazioni e vado a fare qualcosa di utile per l’umanità?’

‘Urtanti’.  ‘Urtare’.
Ho scoperto che mi piacciono anche queste parole.
Quindi non scassate se le ripeto.

domenica 16 gennaio 2011

Le persone migliori sono gli animali.

Nella mia vita ho incontrato molte persone.

Ho incontrato dei lupi che ringhiavano per difendere;
Ho incontrato un pavone che nascondeva sotto la sua coda sfavillante ciò che non voleva mostrare agli altri;
Ho incontrato un corvo che a forza di ingoiare tutto il male che riceveva si è rovinato la voce ed ora è costretto a gracchiare;
Ho incontrato una iena che aveva stampato in faccia un ghigno che gli avresti spaccato l’intera mascella a legnate, ma poi ti accorgi che quello è solo ciò che è rimasto di una smorfia di dolore, tanto impressa nel viso da rimanerci per sempre;
Ho incontrato un coniglio che aveva paura di uscire dalla tana, ma era così coraggioso da rimanere comunque una debole preda perché AMAVA essere un coniglio, amava la sua tana e amava la sua famiglia;
Ho incontrato uno sciacallo che rifiutava il branco del lupo solo perché si sentiva dannatamente solo.

E come dimenticarsi dei blog di Faina Incazzosa e del Ragno Velenoso.

Ora, tutto questo non è solo il frutto dell’ennesimo cannone d’erba, è la realtà delle persone a cui voglio bene vista dai miei occhi di Lady Rododendra.

Tutte le persone che rispetto hanno in un certo senso ‘rinnegato’ la loro umanità. La hanno sorpassata, vedendo cosa significasse appartenere a questa razza.
Siamo sempre umani, è vero, ma dentro qualcosa è cambiato.
Dentro di noi un lupo comincia a ringhiare, un corvo incomincia a desiderare di volare e uno sciacallo comincia ad ululare.

Si vuole essere diversi, non diversi nel senso ‘guardate quanto sono TRASHHHH’,: diversi nel pensare, diversi nel vedere il mondo, diversi nel trattare gli altri umani.

…Io?
Io sono solo una aquila cresciuta in un branco di lupi.
Una cosiddetta aquila da branco.
...Non esiste?
Fottenesega.

giovedì 13 gennaio 2011

Gli unici momenti della vita dove tutto fila liscio come bradipi sul ghiaccio.


I momenti nella vita in cui tutto fila liscio sono due:
 1) Quando scrivi;
 2) Quando disegni.

Magari è stata una giornata orribile di una settimana orribile di una vita orribile, e voi siete appena tornati a casa.
Non vi va ne di accendere la TV perché dicono solo stronzate ne di aprire facebook perché dicono solo stronzate.

Così vi ritrovate davanti a una distesa di carta, e usate la matita come fosse una gru con la voglia matta di costruire su quella vuota distesa un castello di tutto quello si aggira nella vostra testa da giorni.

Incominciano a delinearsi le prime forme, i  primi pensieri, e intanto la gru continua a costruire e senti che finalmente sei capace di fare qualcosa e ti senti diverso da cinque minuti fa dove tutto quello che riuscivi ad esternare era solo insofferenza e una voglia matta di sentirsi a proprio agio.

E tutto quello che sembrava solo uno spazio bianco sul foglio e nel cervello prende forma, sotto forma di lettere, di linee e di pensieri e tutto quello che avevi in testa sta nel foglio come se ti guardassi in uno specchio e non importa se non metto un minimo di punteggiatura dall’inizio della frase o che sia una giornata orribile di una settimana orribile di una vita orribile, l’unica cosa che conta è che nulla può andare storto finché ci saranno quella matita e quel foglio ad aspettarti a casa mentre su facebook e in TV  e in giro per il mondo dicono solo stronzate.

mercoledì 12 gennaio 2011

‘E cercavo solo un altro posto dove sentirmi pienamente a disagio’ [cit]


-Lady, cosa ti ha portato a scrivere un blog?

Direi che la mia risposta sta nel titolo di questo post.
Ora vi spiego.

Nella vita, tutti cercano di essere sempre nel posto giusto, nel momento giusto, col make up giusto e l’atteggiamento giusto.

Questo tipo di comportamento non è presente da sempre.
Io cominciai ad osservarlo verso la quinta elementare.  Le bambine della mia classe non giocavano più ai pirati con me, preferivano decidere come pettinarsi  i capelli e cosa indossare in funzione all’ultimo giornaletto uscito in edicola, dove potevano osservare ‘le star’ nella loro vita che credevano fosse perfetta e da realizzati.
Osservando questo comportamento che non rientrava proprio nei miei canoni, pensai che c’era qualcosa di sbagliato in me. Perché invece di mettere una gonna preferivo usare dei più comodi e pratici pantaloni. Perché invece  di passare una giornata a guardarmi allo specchio e vedere cosa non andava nella mia faccia preferivo disegnare. Perché invece di guardare quella cagata di Paso Adelante passavo i pomeriggi a leggere.

La situazione degenerò alle medie.  
Lì se non ti sei come loro diventi un emarginato sociale, non più un’ esuberante ragazzina fuori dagli schemi.
Allora cominciai a cercare di sembrare una di loro.
Dovete sapere inoltre che io abito in un quartiere dove la gente, in particolare ragazze e donne di tutte le età, si mettono in tacchi per uscire a buttare la spazzatura. Quindi in un modo o nell’altro io dovevo essere sempre perfetta.
Ma non ci riuscivo, perché dentro di me, in ogni momento della giornata, sentivo la mia personalità che agognava di uscire e respirare.
Io però me ne vergognavo troppo.

Cosa successe poi?
Successe che mi ero rotta. Ogni volta che vedevo stampato sulla mia faccia lo stesso sorriso da oca petulante che tanto odiavo vedere in faccia agli altri, ho deciso di sguinzagliare le mie idee in giro per il mondo, mentre sul mio viso al posto di un sorriso da oca petulante ci sarebbe stato un ghigno malefico-soddisfatto.

 
Ho detto chiaro e tondo come la pensavo riguardo a certe cose:
-       -   E’ da stupidi fare dell’estetica la propria ragione di vita, perché noi con una certa faccia ci nasciamo e sarebbe molto più intelligente migliorarsi interiormente. Perché un uomo salamandra può essere ripugnante agli occhi, ma se ha passato la sua vita a ragionare su se stesso e sugli altri è degno di stima. Mi dite che meriti ha una/o ragazza/o con una faccia da svenimento momentaneo che non ha idea di chi sia Bukowski ma che sa a memoria Twilight?
-       -   È nuovamente da cerebrolesi cambiare personalità in funzione di dove stai e con chi stai. Significa che alla fine dentro non hai un cazzo e per controbilanciarti ti riempi di ciò che ti circonda. Nuovamente degno di trattorata in faccia.
-       -   È da codardi non esporre le proprie idee per paura di essere giudicati; se non  si ascolta ciò che gli altri hanno da dire è impossibile vedere le cose da diversi punti di vista, e quindi si avrà sempre una visione superficiale delle cose.

Ovviamente questo mio modo di pensare non ha riscosso particolare successo nel mio ambiente.

Ma da quel momento in poi si è innescato in me un processo totalmente inverso, che mi portava a desiderare qualsiasi cosa fosse al di fuori  di quello che io consideravo un modo fittizio di sorrisi fittizi e parole fittizie.

Da quel momento in poi ho sempre cercato un posto dove sentirmi pienamente a disagio.

Avete presente le feste di diciott’anni? Quelle dove per ideale comune ci si deve andare vestiti da damerini impagliati? Ecco, io sono quella che si presenta con una tutina da Superpippo e un carciofo appuntato a mo’ di garofano.

-Rododendra, questo è puro e semplice EGOCENTRISMO.

No, non è egocentrismo.

Io desidero solo poter essere me stessa e dimostrare al mondo che anche nei momenti in cui ci si dovrebbe sentire a disagio io rimango esattamente al mio posto, con la mia testa e le mie idee.

E che per cambiare il mio punto di vista non basta un sorriso da gallina giuliva.

martedì 11 gennaio 2011

ABBASSO LE BEGONIE!

-Ma dico, che diamine è un rododendro?!

Si chiederanno  quelli di voi che hanno scarsa conoscenza di termini anticonvenzionali.

Ebbene, un rododendro è una pianta appartenente al genere Rhododendron della famiglia delle Ericaceae, originario dell'Eurasia e America. Il nome deriva dalle parole greche ῥόδον (rhodon, rosa) e δένδρον (dendron, albero). Tale genere comprende oltre 500 specie, infiniti ibridi e varietà, di piante arbustive, che vanno da 40 a 90 cm

Grazie Wikipedia.

-Ok, ora che mi hai insultato e hai fatto la figura dell’anticonformista yeye oltre che la deficiente che cerca le voci su Wikipedia, mi spiegheresti cosa cazzo c’entrano i rododendri con un blog?

È abissalmente semplice.

Io AMO i rododendri.

Anzi, ciò che è più giusto dire è che io amo la musicalità della parola ‘rododendro’.

E’ un po’ come quando ascolti per la prima volta una canzone, che so, dei Led Zeppelin o dei Pink Floyd, e non capisci assolutamente un cazzo delle parole del testo ma comunque pensi <Wow, questa sì che è musica!>

Ecco, la parola rododendro suscita in me lo stesso effetto. Perché dai, in fondo le parole sono solo un ammasso di suoni al quale noi volgiamo assolutamente dare un senso perché ci sentiamo i padroni del mondo.

Wow, che figo, in poche righe ho pure fatto la figura della misantropatantosiamotuttitestedicazzo.

Comunque, sono sicura che anche voi provate un amore smisurato per un oggetto che a parere di altri è solo un ammasso di merda. Potrebbe essere un vecchio peluche che voi vi ostinavate a chiamare Teddy nonostante sia un caimano, potrebbe essere un disegno di quando eravate piccoli e disegnavate ancora le braccia che partivano direttamente dalle orecchie e le gambe somiglianti a quelle di un airone cenerino (descrizione tratta da un vero disegno che ora è poggiato alla mia destra. O sinistra, sono ambidestra e non ho mai capito la differenza). Potrebbe essere anche una testa di cazzo, del quale siete assolutamente certi che sia una testa di cazzo ma nonostante questo gli volete bene o, perché no?, lo amate.

E poi ammettetelo, i rododendri hanno dei fiori niente male.

P.S. A prescindere dai vostri commenti, dalle vostre impressioni e/o dai vostri insulti, io continuerò a scrivere su questo blog, semplicemente perché se mi tenessi dentro tutto quello che provo esploderei in un notevole PATABUM! che farebbe volare schegge del mio cervelletto in giro per l’atmosfera. E non sono sicura che sia un bello spettacolo. Diciamo che lo è per gli amanti dello splatter. Ok, basta divagare questo post scriptum è diventato una nota a parte.
Ah, un ultima cosa: grazie a tutti quelli che continuano a supportare (leggasi sopportare) me stessa medesima e quest’ennesima prova d’egocentrismo che vi offro.
E grazie alla Regina degli Pterodattili per il banner. Ti amo lupadattila!