martedì 2 dicembre 2014

La freccia che colpì il conte in un occhio


In un paese pacifico vi erano due fiumi, e tra questi due fiumi si estendeva una porzione di fertile terra verde punteggiata di boschi di nocciole e campi coltivati.
Amministratore di queste terre era il conte Von Beppen, chiamato scherzosamente così dai suoi abitanti, che non mancavano di amare il loro gentile conte.
Egli era infatti generoso nel donare i suoi beni ai cittadini nel momento del bisogno, organizzava spesso feste e fiere dove tutti erano invitati a mangiare dolci e bere cioccolata nel giardino del suo castello, e spesso organizzava dibattiti filosofici volti a migliorare e affinare le menti dei semplici lavoratori. Purtroppo quest'ultima iniziativa non era sempre vista di buon'occhio: spesso i popolani partecipavano solo per fargli un piacere, e trovavano a volte di cattivo gusto il suo modo di affrontare temi delicati di cui magari nemmeno lui aveva mai fatto esperienza. Ma presto questi stati d'animo passavano, sostituiti dal desiderio di godere della reciproca compagnia e di assaporarei frutti che la terra loro donava.

Era inoltre particolare abitudine del conte andare a passeggio per le terre, a dorso di un cavallo o semplicemente usando le sue lunghe gambe, per ammirare la bellezza e la tranquillità della brughiera.
Fu così che un giorno accadde un fattaccio.
Mentre il conte era assorto nei sui pensieri percorrendo un sentiero poco battuto che attraversava un boschetto, la freccia vagante di un cacciatore che aveva mancato la preda andò a infilarsi dritta dritta nel suo occhio destro.
- E' un caso-, pensò lui - o solo un destino che si sta compiendo? Chi è il padrone della freccia, e come si sentirà a sapere che il suo errore sta giocando un occhio a qualcuno? E se invece era sua intenzione uccidermi e la freccia mi abbia rispoarmato la vita? Ma poi, come è arrivata la freccia fino al mio occhio: è stata una traiettoria dritta o avrà deviato da qualche parte? Veniva da destra o da sinistra? Sarà stata avvelenata? Oppure qualche scheggia rimasta all'interno tra qualche giorno mi farà infezione e morirò di una morte così stupida? E cosa fosse successo se...

...

Conte, ma te la vuoi togliere quella freccia dall'occhio prima di tutto?

lunedì 31 marzo 2014

Quella mente geniale

Mary, era il suo nome ed era una signora con la S maiuscola, forse poco visibile ad occhio umano, ma i vari spiriti e demoni minori che costellavano le sue vicinanze, sempre nel bene, s'intenda, potevano capire che questo era: una Signora.

La sua mente era geniale, fantasticava in lungo e in largo: oceani d'acqua erano nulla in confronto a quelli delle sue storie, le montagne più alte parevano infimi gnomi a fronteggiar le sue idee.

questo dà inizio alla nostra storia.

Una notte, la luna era alta in cielo, Mary si ritrovò a creare una storia che non aveva mai creato.
- Com'è possibile mai, si disse, che sia stato qualcun'altro?
No, no. La risposta era un'altra e ben più stravagante.
Infatti la storia si creò da sé e per merito Suo. Di cotanta genialità ne aveva create che davano frutti da sole. Si creavano a vicenda che non si riusciva a capire da dove venissero.

Non voleva comunque crederci.
- A tutto c'è spiegazione e le storie rimangono storie! Sarebbe una storia che si creassero da sé, ma per l'appunto, questo è il mondo vero..., si persuase, Qualcuno dev'essersi finto me!

Ma una storia non rimane una storia, non è forse una storia quella della vecchina che ciba i passerotti o non è forse una storia quella delle lumache che abbandonano i nascondigli una volta piovuto?
E potrebbe essere realtà una storia di storie create e non create che danno frutti e non li danno, di Signore e qualcun'altri a milioni di miliardi?

Sì, e Mary lo scoprì leggendo quella storia da Lei creata quella notte.

Il Re del Mondo




Per Romeo, la vita era un piatto di merda da mangiare col cucchiaino.

Il mondo era suo, ma lui non lo voleva.

Se capitava qualcosa di bello lui non se ne compiaceva, anzi: tanta felicità doveva per forza essere ripagata con un’ugual dose di sofferenza.

Così, dopo 15 giorni di felicità per il Paese, ecco che si scatenò una grande guerra, e tutti giù a piangere e lamentarsi.
- Ecco, lo sapevo io!, diceva il re, borbottando dalla mattina alla sera.
La guerra finì e ci furono tre mesi di pace, e l’unico rimasto a lamentarsi era il re.
- Tre mesi! Chissà cosa ci capiterà questa volta!

Ed ecco arrivare l’inverno più rigido della storia, con morti per le strade e orfani nelle vie.
- Lo sapevo! Era tutto troppo bello!, diceva il re, crucciandosi ogni giorno di più.

A primavera il Paese cambiò: venne deposto dal trono il re, che era un incapace bravo solo a lamentarsi, e venne sostituito da un Grande Stronzo, un profittatore che faceva solo i suoi interessi.

- Ecco, ora anche un dittatore!, diceva Romeo, senza accorgersi che lui era il re e che avrebbe potuto cambiare le cose.

sabato 29 marzo 2014

L’uomo che cercava il pieno e l’uomo che cercava il vuoto.




Nella testa degli uomini, nulla è regolare.
Nulla è pieno,
e nulla è vuoto.

Eppure oggi vi parlerò di due uomini che cercavano l’uno il silenzio, e l’altro la completezza.

La nostra storia comincia nel bar di una triste città, conosciuta per la sua continua e fitta nebbia, che con il suo velo spettrale avvolgeva vie, portici e case.
Vista da fuori pareva quasi senza vita, e percorrendo le vie avevi come l’impressione di andare a far visita ad un malato. Ma questa era solo la prima impressione che poteva farsi un visitatore di passaggio, perché accanto ad ogni focolare ardevano idee e fantasia!
Sarà forse stata colpa del suo clima inospitale che – precludendo agli abitanti parchi e pic-nic - aveva creato  delle menti mai dormienti di artisti e scrittori, che si rifugiavano accanto ad ogni fuoco che gli accogliesse scambiandosi idee e opinioni.

Uno di questi ritrovi era un’antica fumeria (luogo dove la gente poteva fumare ciò che voleva senza dover affrontare il gelo esterno), ed è proprio sul suo vecchio bancone di legno che i nostri due uomini sorseggiavano birra.
Erano avvolti entrambi da pensieri e da pesanti mantelli, intenti a bearsi del caldo ristoro che veniva loro offerto. Nessuno dei due conosceva il nome dell’altro.
Poi uno parlò.

Nessuno sa cosa si dissero il giorno del loro primo incontro, ma ciò che ne scaturì si manifestò di lì a pochi mesi.

Tutto cominciò con una locandina. Portava la scritta: “Teatro dell’invisibile. Mostraci fin dove arriva la tua mente in un viaggio al termine della notte.”, ed era tutto e niente ciò che si sarebbero aspettati i curiosi passanti.
Il primo spettacolo venne chiamato “Comici spaventati guerrieri”, se spettacolo si potesse chiamare…: i personaggi esistevano, gli attori recitavano, gli strumenti suonavano; ma nulla veniva mostrato.
Tutto ciò procurava agli spettatori slanci d’immaginazione che andavano ben aldilà del teatro, della lettura o dell’arte visiva: nulla era mai stato loro così chiaro ora che nulla gli era mostrato.
Fu un vero successo: il Mondo aveva scoperto il piacere del vagabondare nella Notte, e ne era estasiato.

Siamo dunque arrivati a quello che dovrebbe essere stato l’appagamento finale della carriera artistica dei nostri due individui, ma uno spirito romantico ricerca sempre un significato più profondo in ciò che fa.

Il primo ad accorgersi della propria insoddisfazione fu il pittore.
-          
-         - Ho cominciato a disegnare su carta ciò che il pensiero e l’immaginazione mi dettavano, le ho messe in scena a teatro in modo da condividerle con altri, ma la loro essenza ancora mi sfugge. Non mi basta assaporare la crosta… per una volta vorrei assaggiare il ripieno!

A lungo si rinchiuse nel suo atelier per cercare ciò che più desiderava, ma ogni volta gli sfuggiva di mano.
Capì che il mondo si basava su un muro impenetrabile oltre il quale non gli era permesso di andare, e si sentiva perduto in quel margine senza fine.
Cominciò a non riuscire più a vivere una vita a metà, e la realtà stessa nella quale viveva gli sembrava incompleta.

Nulla più lo interessava, nulla più lo colpiva.
Invecchiò velocemente, raggiungendo una morte prematura.

Destino simile toccò al musicista.
-         
            - È da quando misi su il Teatro dell’Invisibile che non mi dedico pienamente alla musica. Volevo che gli spettatori si concentrassero sul proprio pensiero più che su delle note a loro estranee, ma né io né loro abbiamo ancora ascoltato la più pura delle forme: il silenzio.

Ma il silenzio era impossibile. Persino quando si chiudeva nella camera insonorizzata sentiva riecheggiare i suoi pensieri, che risultavano anzi amplificati da tutto quel vuoto.
Non ci riusciva. E se mai fosse riuscito a carpire il silenzio, sarebbe mai stato in grado di offrirlo ad altre persone?
Si sentiva torturato nel profondo delle sue ambizioni.

Il suo respiro. Il suo battito del cuore. Le sue ossa che scricchiolavano. La sua saliva che scendeva per la gola.
Tutto ciò era diventato insopportabile: continue sconfitte quotidiane che lo colpivano dritto nell’orgoglio.

Bastò poco per ridurlo a un corpo penzolante da un cappio: preferì togliersi la vita ed ottenere il silenzio eterno che ammettere la sua sconfitta.


Fu così che l’uomo che cercava il pieno morì perché si sentiva troppo vuoto, e l’uomo che cercava il vuoto morì perché si sentiva troppo pieno.


Chi è troppo leggero impazzisce; chi è troppo pesante sprofonda in se stesso.