giovedì 3 marzo 2011

L’umanità va a cena.


Organizzatrice della serata, ovviamente, è Camille. È una donna attraente, paffuta, femminilissima, genere quadro di Renoir; la dilatata di Corman; la venerea della classificazione antica; estroversa, socievole, cicliotimica secondo Kretschmer. Perfetta padrona di casa, graziosa, amabile, capace, essa crea intorno a sé un’atmosfera di benevolenza e di gradevole calore; la sua conversazione non è particolarmente interessante, ripetendo  essa per lo più opinioni del marito e del padre o magari del parroco o della radio, con l’aggiunta eventuale di una qualche emozione personale. I suoi giudizi e le sue critiche sono stranamente duri, ingiusti e distruttivi, giacchè il pensiero, la sua funzione inferiore, può giocarle dei brutti tiri.

La casa è messa con gusto e la cucina è eccellente, poiché il marito è esteta e buongustaio e richiede un lusso discreto.

Questo marito, Andrew, è infatti un esperto di quadri antichi e collezionista d’oggetti d’arte  e possiede una splendida biblioteca. I suoi autori sono Huysmans e Oscar Wilde nelle cui opere ritrova sé stesso. Tanto la moglie è chiaccherona, tanto lui è taciturno, e ora è infastidito da questa riunione e non capisce perché mai si debba invitare tutta questa gente priva di interesse che lo costringe ad uscire dalla deliziosa solitudine del suo studio. Tuttavia accetta che la moglie intrattenga vita di società, sapendo, per esperienza, che essa eccelle nell’arte del ricevere e che può fornirgli quel lato estroverso, aperto sul modo esterno, che a lui manca. Costui riceve gli invitati con una diffidenza piuttosto fredda e distaccata e stringe la mano dell’avvocato alla moda (che egli disdegna) dicendogli ‘arrivederci’ invece che ‘buona sera’, atto mancato che la moglie cerca di cancellare raddoppiando la propria cortesia.

L’avvocato in questione, Loreto, è arrivato per primo: è un tipo ben inserito nella vita, che ha fatto studi brillanti e che sta iniziando una promettente carriera politica. Per quanto giovane, ha già acquisito una certa fama di oratore, è chiaro nei propri giudizi, di una logica perfetta, capace di convincere il pubblico con la forza delle argomentazioni, sempre fondate sui fatti. Il pensiero astratto lo interessa meno, giacchè eccelle soprattutto nel senso pratico e nelle qualità organizzative, ed emette giudizi basati essenzialmente su fattori provenienti dall’esterno, ossia su valori trasmessi dalla tradizione, dall’ambiente, dall’educazione. Si orienta sulla base di dati oggettivi.

Un po’ più tardi arriva l’uomo di affari in vista, il grande industriale, accompagnato dalla moglie.

L’industriale, Serafino, è un uomo di buon senso, attivo, sempre indaffarato, pratico, pieno di iniziative; dirige con autorità e intelligenza un vero e proprio esercito di impiegati, e le sue giornate sono stracariche di occupazioni varie, commerciali e sociali. Spesso, tuttavia, manca di previdenza, ragion per cui afferra le cose solo quando sono diventate realtà palpabili. È ben vestito, ma in certo qual modo ordinario, privo di distinzione e delicatezza, rumoroso, parla troppo, beve parecchio ed è un formidabile mangiatore (il tipo dilatato di Corman).
Nessuno capisce questa coppia o piuttosto il legame che la unisce. La moglie, Kira, infatti è silenziosa ed enigmatica, come un’acqua tranquilla e profonda. Ma quello che più sorprende, e che suscita l’interesse della padrona di casa, specialista in relazioni umane, è l’influenza che questa giovane donna, apparentemente insignificante, esercita sul marito, il quale le è sottomesso, la cerca con gli occhi quando si allontana e su tutto chiede il suo parere. Essa incarna per lui l’anima, la vita interiore, rimaste in lui del tutto inconsce, di modo che egli fa su di lei una proiezione della propria anima.

Kira non esterna le proprie emozioni, ma le accumula e le interiorizza, col risultato di creare attorno a sé, grazie a questa massa di libido, un’atmosfera di mistero fortemente attraente. Ha una grande passione per la musica, la più pura espressione di ciò che prova, ed è nell’universo dell’armonia, più che nella stessa esistenza, ch’ella si esteriorizza ed è felice.

Ma ecco arrivare Valeriano, si tratta di un medico, specialista della malattia del sonno, il quale non esercita la professione, dato che il malato non lo interessa minimamente, ma che apporta nel campo della ricerca scientifica – il centro dei suoi interessi – idee personali e una sua propria teoria. La moglie non la si vede mai, giacchè egli non esce con lei, e si bisbiglia che sia ex cuoca, una donna semplice e senza cultura.

Infine, arriva, trafelato,  Adrièn, l’ultimo ospite, un ingegnere aeronautico, il quale, ancora ansimante, si mette subito a parlare della sua ultima invenzione, un nuovo tipo di aereo di rivoluzionaria novità. Ha la mente fervida, ma che, a causa di un senso reale vacillante, non realizza quasi mai i suoi sogni. Parla di un viaggio e di progetti futuri e, quando infine si passa a tavola, ingolla rapidamente le eccellenti portate, senza nemmeno rendersi conto di quello che mangia.

La conversazione si anima: si parla di politica, di teatro, di processi, di cinema.  Serafino e Loreto mantengono viva la discussione.
Valeriano, al contrario, tace, essendo, come molti suoi simili, impacciato e sentendosi a disagio in quell’ambiente mondano; solo verso la fine della cena, riscaldatosi un po’, uscirà dal suo silenzio per mettersi a parlare… della propria teoria sulla malattia del sonno, senza rendersi conto delle reazioni suscitate nei convitati da un simile argomento; è infatti un tipo che commette non poche gaffe, come spesso accade alle persone male adattate al mondo.
Gli uomini lo ascoltano tuttavia con un certo interesse; Lanfranco lo segue, giacchè tutto ciò che concerne il mondo delle idee lo interessa, Serafino pensa all’utilità pratica degli studi sulla malattia del sonno; Andrew, l’esteta, è invece puramente e semplicemente disgustato da un simile argomento che gli disturba la digestione. Ma chi è più da compiangere  sua moglie, la padrona di casa. All’inizio del lungo discorso, essa ha cercato invano si sviare il corso della conversazione, finchè, stanca, ha perso il filo: il pensiero teorico, denudato di ogni sentimento umano, le sfugge ed essa lo sente quasi come un’offesa; il suo volto, poc’anzi raggiante, si offusca e la poveretta si annoia mortalmente. Rinasce a nuova vita solo quando ci si alza da tavola; allora, svelta svelta, porta Kira in camera dei bambini e lì le due donne si ritrovano nel calore dell’amore materno.

Un posto a tavola è rimasto vuoto: era il posto riservato al poeta, Cecile, il quale non è venuto e non ha nemmeno telefonato per scusarsi, avendo semplicemente dimenticato l’invito. Immerso fino a sera nelle sue carte, se ne è distolto solo per recarsi nel ristorantino sotto casa, dove ha mangiato male, essendo a corto di soldi. È fondamentalmente un inibito, allampanato, con una lunga faccia delicata. Siccome vive fuori dal tempo e dallo spazio, perde un’altra mezz’ora a cercare gli occhiali prima di uscire, e così arriva in trattoria troppo tardi. Ma che gliene importa di mangiare male! Via via getta un’occhiata alla Divina Commedia che si è portato dietro. Dopo cena va a fare quattro passi lungo la Senna, sotto il cielo stellato, nell’aria fredda che lo fa rabbrividire (ha dimenticato il cappotto, senza rendersi conto che siamo agli inizi dell’inverno e che la temperatura sta facendosi rigida), e intanto, mentre passeggia, compone un sonetto  metafisico e si sente felice. D’un tratto si ricorda dell’invito a cena, ma ormai è troppo tardi. La dimenticanza è un atto mancato, che esprime benissimo l’apprensione dell’introverso a recarsi in società e la sua estrema timidezza. “Pazienza - pensa  - vuol dire che manderò i miei versi alla padrona di casa e così ella avrà il meglio di me!”
Probabilmente egli realizzerà la sua intenzione, ma Camille sarà in grado di apprezzare un simile dono? Eppure, questo Cecile mal vestito - perché gli introversi spesso si trascurano -, questo povero poeta leggermente ridicolo, co suoi occhi miopi e vaghi, che sfugge il calore umano, i conflitti e le gioie altrui, ha forse composto un poema immortale, che vale tutto ciò che si è lasciato sfuggire.

-L’anima e la scrittura
Rivisitato da Lady Rododendra.

4 commenti:

  1. Cecile compone sonetti mesafisici.
    Il nome è un'allusione, ma così è sin troppo chiara. Riferimento post 'Schizofrenia'.

    RispondiElimina
  2. Infatti.
    Ogni nome ha un preciso riferimento.

    RispondiElimina
  3. Bene, ora è più chiara la rivisitazione.
    Ogni parola ha un preciso riferimento.

    RispondiElimina